martedì 6 dicembre 2011

LASCIATEVI AFFASCINARE DALLA VITA DEL DIVINO

Michelangelo Buonarroti nacque il 6 marzo 1475 a Caprese, nella valle del Tevere. La sua famiglia era di origine borghese: il padre, Ludovico Buonarrotti era il podestà di Chiusi e di Caprese e, in qualità di autorità politica e amministrativa locale alloggiava in un palazzo sito al centro di Caprese, vicino alla chiesa di San Giovanni, in un contesto di case di campagna.
Un aneddoto curioso racconta che la nascita di Michelangelo fu annunciata al padre per mezzo di una sorta di profezia: fu catturata una donna dall'aspetto sinistro che si era intrufolata in un podere, probabilmente una zingara ladra di galline, e fu condotta davanti all'autorità locale, nella persona di Ludovico Buonarroti che, anziché cacciarla dalle terre previa una scarica di bastonate (quale pareva essere consuetudine del tempo) decise di voler credere alle giustificazioni della donna, che si dichiarava una pellegrina in viaggio per raggiungere altri pellegrini, e decise di lasciarla andare. La donna, nel ringraziarlo della sua magnanima benevolenza, gli baciò le mani e, dopo averle scrutate con sguardo professionale, gli annunciò che avrebbe avuto un figlio re.
La madre, di cui si narra fosse donna dotata di rara bellezza, si chiamava Francesca, di Ser Miniato del Sera; si era sposata a sedici anni e morì che ne aveva solo ventiquattro, lasciando un vuoto incolmabile che sempre sarà motivo di sofferenza e di tormento per Michelangelo.
Anche la nascita del grande artista ha un che di miracoloso, in quanto la madre riuscì a portare a termine la gravidanza nonostante un grave incidente che le occorse a cavallo, quando, caduta mentre cavalcava su un dirupo scosceso, fu trascinata sui sassi per parecchi metri.
La famiglia Buonarroti, anche conosciuta come Buonarrota, vantava un albero genealogico che risaliva ad almeno un paio di secoli, ed annoverava tra i suoi membri mercanti, soldati, frati, funzionari e cambiavalute. Il padre Ludovico era inserito nei ranghi della burocrazia, e poiché i contratti per i funzionari erano a tempo determinato, questo significava essere soggetti a frequenti trasferimenti. Quando Michelangelo aveva appena un mese il mandato a Caprese scadde e la famiglia si trasferì a Firenze, in attesa di un nuovo lavoro.
Francesca era una fragile creatura, e non le fu consentito di allattare il bambino che fu messo a balia presso Settignano, da una donna robusta nella cui famiglia gli uomini esercitavano il mestiere di scalpellini. Scherzando, lo stesso Michelangelo spiegava così la sua predilezione per la scultura, avendo succhiato col latte martelli e scalpelli...
L'infanzia a Settignano fu felice, e lasciò in lui ricordi piacevoli, oltre all'amore materno della balia che nel corso della vita mantenne con sempre costanti contatti , considerandolo come un figlio proprio. Michelangelo, nelle sue testimonianze, ricordò con affetto il buon carattere della coppia e la loro apprezzabile tenacia , dichiarando che se fosse stato più a lungo in loro compagnia, per lui sarebbe stato più facile realizzare la sua vocazione artistica.
Lo scenario politico della Firenze quattrocentesca era quello di una città divisa da fazioni che si contendevano il potere, anche violentemente: Ludovico però cercava di sostenere un ruolo marginale, più defilato, soprattutto per tutelare la sicurezza della sua famiglia numerosa, composta da sei figli: Buonarrotto (che divenne mercante), Michelangelo era il secondogenito, Leonardo (che divenne frate domenicano al seguito di Gerolamo Savonarola, Giovan Simone, (dal carattere mattacchione, avventuroso e galante) e Sigismondo (che prima divenne soldato e poi contadino).
Ludovico lasciò i propri figli liberi di decidere del proprio futuro, stimolandoli ad assecondare le proprie inclinazioni, solo con Michelangelo si oppose fermamente poiché l'arte all'epoca era considerata una forma di artigianato, mestiere poco nobile date le origini borghesi della famiglia.
Michelangelo, rimasto orfano di madre, divenne un bambino sensibile, chiuso e poco socievole, spesso ingiustamente etichettato come inetto e malaticcio. I conflitti con il padre erano sempre più pesanti e violenti, la convivenza in casa era sempre più difficile, e lui, soffrendo per la situazione infelice, a dodici ani scappò di casa, restandosene nascosto per un giorno e una notte. Poi fu il fratello maggiore, a cui era profondamente legato, a ritrovarlo, e a ricondurlo alla casa del padre e della matrigna.
I rapporti tra Michelangelo e suo padre restarono tesi per molti anni, in un certo senso si appianarono solo quando l'artista iniziò ad avere successo, solo allora il padre cambiò radicalmente atteggiamento, forse anche convinto dalle ricchezze che il figlio stava guadagnando, e dai benefici che anche lui poteva trarne.
Il suo primo insegnante fu Francesco da Urbino, che faticò non poco per cercare di farlo applicare nel greco, nel latino, nella retorica, nella grammatica e nella letteratura, in compenso dimostrava autentica passione nella ricerca di una calligrafia raffinata, in quanto per lui le lettere rappresentavano innanzitutto...una forma da riprodurre.
Se la sua carriera scolastica non era esattamente quella che vi aspettavate, non vi stupirete nell'apprendere che anche Michelangelo "bigiava" la scuola, solo che anziché andare nei bar o nelle sale giochi, come fanno i ragazzi di oggi, si recava....in Chiesa, ad ammirare le opere d'arte di Giotto, del Beato Angelico, di Donatello, e ad osservare il Ghirlandaio mentre affrescava il coro di Santa Maria Novella.
Quando Ludovico vedeva il figlio disegnare, si spazientiva e lo rimproverava duramente, ( e si, probabilmente qualche ceffone se l'è preso anche lui ) e fu soltanto per intercessione del fratello maggiore Buonarroto che il padre si arrese infine alla realtà, ed accettò che il figlio intraprendesse il mestiere artistico. Abitavano allora in via Bentaccordi, e nelle vicinanze c'era la bottega del pittore Francesco Granacci, un ragazzo di diciotto anni, già allievo di Filippo Lippi, che aveva in simpatia il giovane, e gli fece fare qualche riproduzione per testarne le capacità, riconoscendone subito il grande valore, e s'adoperò per cercargli un posto d'apprendista presso la bottega del Ghirlandaio. Fu quindi firmato un contratto di lavoro triennale, contro un compenso settimanale stimato sulle 200 lire, probabilmente una cifra irrisoria, ma il Ghirlandaio era all'epoca un pittore molto in voga e pieno di richieste di lavori e anche se Michelangelo non ne ebbe mai un'opinione positiva in quanto lo considerava un mediocre di facili maniere e semplice nell'espressione , era pur sempre un "maestro" da cui imparare, riconosciuto come abile ritrattista, e pare che abbia lasciato testimonianza delle fattezze del giovane Michelangelo inserendone il viso in un San Giovannino di Santa Maria Novella. Il maestro non ci mise molto a comprendere che l'alunno era molto più dotato e bravo di lui ciò nonostante gli affidava per lo più mansioni di fattorino.
All'amico Granacci volle regalare il suo primo quadro a colori, risalente al 1488, oggi andato perso ma di cui sappiamo rappresentasse S. Antonio assalito da demoni mostruosi che lo attanagliavano tra code fiammeggianti e artigli minacciosi.
L'amicizia con il Granacci non durò a lungo, il ragazzo amava la bella vita ed era dotato di poca originalità, fondamentalmente era più propenso ai piaceri della tavola e delle lenzuola che a quelli di uno studio raffinato su tela, Michelangelo al contrario era completamente concentrato nel suo desiderio di esprimersi, e anzi si sentiva frustrato a dover sottostare agli ingrati compiti assegnatoli dal maestro.
In occasione delle nozze celebrate tra una figlia di Lorenzo il Magnifico con il principe Gybo, era venuto in città un amico paterno, Girolamo Benivieni, che ammirando l'opera del giovane ne intuì la genialità ed ebbe occasione di parlarne in presenza dei Medici stessi, elogiando la superiorità artistica di Firenze rispetto a quella Romana e citandolo ad esempio della stessa.
Lorenzo il Magnifico, padrone dello Stato Fiorentino, recentemente scampato alla congiura dei Pazzi, era un uomo amante delle arti e protettore degli artisti di cui coltivava i talenti presso il giardino dei Medici, nei pressi del Convento di San Marco, sotto la direzione dello scultore Bertoldo di Giovanni. Lorenzo rimase profondamente colpito dal talento del giovane Michelangelo che propose a Ludovico di cederglielo in qualità di figlio adottivo, offrendogli in cambio un posto di lavoro di tutto riposo presso le Dogane.
Così Michelangelo confezionò il suo fagottino e si trasferì nella sontuosa reggia del Magnifico, in via Larga, una corte vivace e sontuosa sempre affollata di dame, gentiluomini, filosofi, prelati, armigeri, paggi ecc....
Mangiava seduto con i figli di Lorenzo, Piero, che succederà nella signoria, Giovanni, che diventerà Papa Leone X, Giuliano, poi Duca di Nemours oltre ad una fanciulla, detta la contessina.
A Michelangelo venivano assegnati 5 ducati al mese per le spese personali, ma ogni lavoro creato diventata automaticamente di proprietà di Lorenzo.
Con tanti cambiamenti nella sua vita, anche il suo carattere subì profonde mutazioni, diventando un ragazzo strafottente nei confronti degli altri allievi del giardino, ma il suo fisico continuava ad essere esile, e a mal supportare l'arroganza dell'ingegno, così, dopo una discussione con un collega, tale Piero Torrigiano, si prese un tale pugno sul viso che gli sfondò le ossa nasali e dovettero soccorrerlo portandolo via in barella. Anche crescendo, il segno di quel pugno resterà impresso sul suo volto per sempre. Il Torrigiano, temendo la reazione dei Medici, fuggì velocemente all'estero, a Milano prima, in Francia poi, ma ovunque andasse fu sfortunato e sempre in fuga, si arruolò per i reggimenti inglesi, poi si recò in Spagna, fu poi preso di mira dal tribunale dell'inquisizione e incarcerato, condannato a morte decise infine di suicidarsi.
Ma Michelangelo, nonostante le alte protezioni, continuava a non piacere agli altri ragazzi, proprio per questa sua supponenza del resto non ingiustificata, e anche da adulto non smise mai di prendere in giro gli altri, o, come si diceva allora, a "uccellare" il prossimo.
Michelangelo analizzava ed osservava ogni cosa con il suo occhio attento, studiava dapprima nella mente per poi riuscire a riportare fedelmente le forme della realtà. La sua prima opera scultorea fu una testa di fauno, un attempato e gaudente amatore dall'espressione lussuriosa a cui Michelangelo trapanò anche le gengive per farlo sembrare più reale. Nel 1492 Lorenzo il Magnifico morì, e poco dopo Michelangelo, che impiegò alcuni mesi per superare il lutto, si allontanò dal palazzo e dal nuovo signore Piero dei Medici. Piero non era certo l'illuminato e istrionico principe quale era stato il padre, e in occasione di un'abbondante nevicata occorsa in Firenze convocò Michelangelo nel cortile, dove, attorniato dai suoi adulatori, gli commissionò una statua. Si, una statua di neve. Michelangelo era impulsivo, ma non scemo, e forse ricordandosi il vecchio compagno Torrigiano dovette accusare il colpo e ….fare il pupazzo di neve.
Fu un periodo di depressione profonda per l'artista, aveva solo diciannove anni, non aveva e non voleva amici, donne, lavoro…. Iniziò a dedicarsi a lugubri attività, grazie alla conoscenza del Priore del Convento dei frati di Santo Spirito, dove aveva sede un ospedale per malati terminali, ebbe il permesso di recarsi nella camera mortuaria per intervenire sui corpi dei defunti dissezionandoli e perfezionando gli studi anatomici. Non era considerata attività normale e facile da realizzare, tant'è che i corpi che gli venivano messi a disposizione erano solo quelli dei poveri che nessuno avrebbe reclamato. Successe poi che in uno dei reparti a pagamento morì un personaggio appartenente ad una nobile famiglia, e che per qualche disguido in corsia il suo corpo fu consegnato alle fredde e analitiche mani di Michelangelo che iniziò a dissezionarlo. Quando ci si accorse dell'equivoco, medici, infermieri e famigliari si precipitarono nei sotterranei per fermare l'autopsia, che ormai era stata compiuta. Se la vide brutta, in quell'occasione, volarono coltelli e fu accusato di praticare la negromanzia, ossia la pratica magica diabolica dell'indovinare il futuro per mezzo dei cadaveri, accusa che prevedeva la tortura prima e la condanna a morte poi….
E fu solo per intercessione del priore che la rissa fu sedata, i principi calmati e Michelangelo allontanato.
Si sdebitò con il convento donando ai frati un Crocifisso scolpito in legno.
Dunque, terminata l'esperienza in Signoria, incominciò un nuovo capitolo della sua vita, realizzando subito due bellissime opere scultoree, la Madonna della Scala (un bassorilievo probabilmente ispirato allo stile di Donatello) e la Battaglia dei Centauri, altro bassorilievo il cui soggetto gli fu suggerito dall'amico e poeta Angelo Poliziano.
Michelangelo riuscì a trattare con l'assessore ai lavori pubblici per farsi assegnare un grosso masso che giaceva inutilizzato e ingombrante in una piazza fiorentina, e realizzò un grandioso Ercole alto circa due metri e mezzo, purtroppo anche questo andato perduto. La statua fu acquistata dalla famiglia degli Strozzi, nemica dei Medici, poi finì presso la reggia di Fontainbleu, di proprietà del re di Francia, dopodiché non si sa quale fine abbia fatto e, viste le sue colossali dimensioni, si presume che sia stata vandalicamente distrutta.
Un giorno un amico di Michelangelo, anche lui frequentatore della corte Medicea, tale Andrea Careggi, gli raccontò d'aver sognato il defunto Lorenzo de Medici, di nero vestito, che gli comunicava di avvertire il figlio Piero di un pericolo imminente e di consigliarli la fuga. A quel tempo anche le menti illustri prestavano attenzione a sogni e presagi, e il Careggi sfidò la sorte per avvisare Piero, che lo cacciò malamente. Michelangelo, invece, accolse il consiglio come un credibile presentimento, salì a cavallo e se ne andò a Venezia. Pochi giorni dopo dovette fuggire anche Piero de Medici, perché Carlo VIII, re di Francia, sostenuto da Ludovico Sforza, signore di Milano, occuparono quasi intermente la penisola, anche se solo per un anno.
Il ruolo di Piero fu piuttosto ambiguo: uomo senza carattere, si mise subito a disposizione dei francesi, che ne accettarono i servigi pur trattandolo con sprezzante alterigia. Morì nella campagna di Carlo VIII per la conquista del reame di Napoli.
Michelangelo, dalla Venezia coinvolta nelle lotte contro i francesi, decise di spostarsi con un paio di conoscenti verso Bologna, dove pure non conosceva nessuno, ma , sempre assistito dalla sua buona stella, trovò anche qui persone amiche che intercedettero per fargli commissionare tre statue del Duomo.
Dovette poi allontanarsi anche da Bologna in quanto incombevano su di lui minacce di morte, e se ci stupiamo della cronaca nera attuale, al tempo erano invece avvezzi a fatti di sangue, e nessuno se ne scandalizzava più di tanto. Il reinserimento dell'artista nell'ambiente fiorentino fu in parte perorato da Sandro Botticelli, che lo rassicurò sul fatto che nessuno nutrisse astio o rancore nei suoi confronti.
La Firenze in cui ritorna è piuttosto democratica, Piero de Medici ne era stato spodestato e governava un Maggior Consiglio che rappresentava tutta la cittadinanza, e comunque le correnti politiche e sociali erano fortemente influenzate dalla presenza di Girolamo Savonarola, che si batteva energicamente contro la corruzione dei costumi e gli errori commessi dal clero, propagandando una seria riforma ecclesiastica, riscuotendo un grande successo e incontrando anche un certo fanatismo che si concretizzava con roghi pubblici in cui venivano bruciati paramenti sacri sontuosi, scritti licenziosi e altri simboli di mondanità. Successivamente Gerolamo Savonarola verrà scomunicato da Papa Alessandro VI, processato non proprio giustamente, condannato a morte e impiccato, con esposizione pubblica del corpo. Questo, nel 1498. La tragica fine dell'uomo giusto sarà per Michelangelo una grande sconfitta dell'umanità.

Nel 1496 Michelangelo si spostò nuovamente, questa volta verso Roma, in parte perché spinto da interessi personali che le cronache non hanno chiarito, in parte perché probabilmente ritenne più conveniente riferirsi ad un unico Sovrano di grandezza e potenza riconosciuti, il Papa, piuttosto che confrontarsi con tanti piccoli principi in costante guerra tra loro.
A Roma lavorò per il Cardinale Riario e poi per il ricchissimo banchiere Jacopo Galli, che doveva essere una sorta di viveur del tempo e dunque gli commissionava soggetti pagani (la statua di Bacco esposta agli Uffizi, per esempio). Il Galli, che era un uomo d'affari, riuscì a procurargli una statua in commissione dal Cardinale Villier destinata a ingraziarsi i favori papali. E così ebbe l'incarico di scolpire la Pietà, l'unica opera che Michelangelo volle firmare per esteso con la scritta "Micheal Angelus Florentinus facìebat". E l'aneddoto è divertente: pare che, in occasione del giubileo, molti pellegrini si recassero a Roma, e accadde che, in un gruppo soffermatosi ad osservare la bellezza della Pietà, vi fosse un lombardo che ne attribuiva la paternità ad un suo conterraneo, tale Cristoforo Solari detto il Gobbo. Il cicerone che accompagnava questi pii turisti, ribatté che l'opera era di Michelangelo, e nonostante il dibattito avvenisse in un luogo sacro, i toni si accesero e la discussione prese le forme di una rissa, tanto che dovettero intervenire le guardie per allontanare i presenti. La voce arrivò dunque a Michelangelo che, senza perdere tempo, vestito di un nero mantello, quasi fosse un congiurato che celava le sue armi, riuscì a introdursi in qualche modo nella chiesa dove, cercando di fare il meno rumore possibile, scolpì il suo nome ben in vista, sulla fascia che indossa la Madonna, quasi fosse un ex voto.
Scolpì poi il David, potendo contare sulla fortuna di vedersi assegnare un enorme blocco di marmo di Carrara di cui avevano fatto richiesta anche Leonardo e il Sansovino. Michelangelo era, in quel periodo, di nuovo a Firenze, e sfruttando appieno le potenzialità della materia prima, scolpì un colossale David che riscosse successo immenso anche tra i fiorentini del suo tempo, piuttosto difficili da accontentare.... Coesistono diverse interpretazioni sul messaggio che Michelangelo desiderasse comunicare attraverso la sua scultura, per qualcuno la chiave di lettura è quella politica e dunque il David rappresenterebbe il popolo che, con il suo spirito indomabile combatte per affermare la libertà, vincendo sulla tirannia.
Per altri il messaggio è puramente religioso, e le fattezze perfette del David sarebbero lo strumento per sottolineare la verità e la bellezza delle Sacre Scritture. In ogni caso, il popolo lo chiamò "il gigante" e, date le dimensioni impegnative dell'opera, vi furono discussioni cittadine anche per definirne la collocazione urbana, fu chiamata ad esprimersi una vera e propria assemblea di artisti, tra i quali il Botticelli, Filippino Lippi, il Ghirlandaio, il Perugino e naturalmente Leonardo da Vinci. Infine si decise di accontentare Michelangelo e di lasciare, dunque, che il David osservasse la vita fiorentina dall'ingresso di Palazzo Vecchio.
Naturalmente non fu facile spostarlo dalla casa dell'artista (e dove viveva? è pur lecito domandarselo) e furono impegnati 40 energumeni per 4 giorni, si dovette alzare una porta e abbattere un muro, e solo dopo altri 20 giorni di lavori di assestamento la statua fu collocata. Il compenso che ricevette Michelangelo per il David fu di 400 fiorini d'oro (probabilmente, in paragone, meno di quanto prende Pippo Baudo per presentare il festival di Sanremo). Mentre si lavorava per sistemare il David, si trovò a passare il Gonfaloniere Pier Solderini, (che era, tra l'altro, colui che gli aveva assegnato il conteso blocco di marmo di Carrara) , uomo dalla fama immeritata di grande critico d'arte, e volle fare notare a Michelangelo che "il naso era sproporzionato". L'artista, che scemo non era affatto, finse di considerare valido il commento a lui rivolto, si nascose una pugnata di schegge in mano e finse di ritoccare il naso a colpi di scalpello, lasciando cadere le schegge. Piacque molto di più, al compiaciuto Solderini, il David dopo la rinoplastica….
Michelangelo in quegli anni era veramente in forma, godeva di ottima salute, era un personaggio affermato, le sue opere erano richieste e stimate. Produsse moltissimo, arrivavano commesse da varie regioni d'Italia e Michelangelo era costretto a rifiutarne molte. Dipinse per Angelo Doni "La Sacra Famiglia", anche conosciuto con il nome di Tondo Doni, oggi esposto agli Uffizi. Il mercante, per quanto ricchissimo, anziché pagarlo come precedente pattuito 70 ducati, ne pagò solo 40 all'ignaro eppure imbarazzato incaricato della riscossione, e aggiunge di riferire a Messer Michelangelo che "non sono pochi". Naturalmente, come l'episodio si riseppe, tutti diedero ragione a Michelangelo, tanto gli aristocratici che erano da sempre i protettori delle arti, quanto la borghesia, che invidiava la fortuna del Doni di avere ottenuto un opera del grande artista. E così il Doni decise di tornare sui suoi passi, mandò un suo impiegato presso Michelangelo con un borsello contenente i 70 scudi, ma Michelangelo fu irremovibile, e disse che, dal momento che il Doni aveva cercato di frodarlo, il loro accordo era saltato. Ora il prezzo di mercato era di centoquaranta scudi, esattamente il doppio. E il Doni, naturalmente, li pagò tutti, senza batter ciglio. Se non altro, con questo equivoco, il Doni ha acquistato una celebrità eterna.....
Il Gonfaloniere Pier Solderini scatenò una gara tra Michelangelo e Leonardo per decidere a chi assegnare l'affresco della sala del Consiglio Grande. Leonardo propose i "cartoni" della battaglia di Anghiari, Michelangelo quelli della battaglia di Cascina, naturalmente entrambi gli schemi pittorici erano opere d'arte e si decise di realizzarli entrambi, su due diversi pareti. Ma gli affreschi, per varie vicissitudini, non furono mai realizzati, e i cartoni (le bozze..) andarono perse o distrutte, anche se in un certo senso fecero scuola, essendo utilizzati come studi di altri pittori.
Michelangelo e Leonardo. Erano amici? No. Colleghi sopportabili? No. Vi pare che due eccelsi come loro potessero non entrare in conflitto? un giorno, tanto per citare un esempio, Leonardo si fermò a chiacchierare con amici o conoscenti in una viuzza di Firenze, e l'argomento era.... l'interpretazione di alcuni versi di Dante (d'accordo, non c'era la televisione, ma questi grandi artisti forse vedevano troppe modelle e ormai non erano più interessati all'argomento...) e passò di lì anche Michelangelo. Allora Leonardo, per tirargli una frecciatina avvelenata, disse ad alta voce che l'unica cosa da farsi, era di interrogare uno bravo, intendendo Michelangelo. Questi non si scompose e ribatté che invece avrebbe dovuto spiegarli proprio lui, in quanto ancora più bravo..." tu che hai fatto una volta il disegno di un cavallo e poi non sei riuscito a fonderlo nel bronzo". Leonardo, che era praticamente all'apice del suo successo, riverito e idolatrato da tutti, furioso per l'affronto subito, cercò di afferrarlo per picchiarlo, ma le persone presenti lo fermarono e riuscirono a evitare la rissa. Se Michelangelo non era un uomo dotato di grande forza fisica, non si può dire lo stesso di Leonardo, che poteva piegare un ferro di cavallo con le sole dita.

Grande amico di Michelangelo, fu invece il Cardinale della Rovere, poi Papa Giulio II. Su di lui occorre spendere due parole per sintetizzare le imprese compiute: appena salito al trono si impegnò per rafforzare il potere politico della Chiesa, e questo lo fece intanto armando il suo esercito e "riprendendosi" i territori arraffati da Cesare Borgia durante il papato di suo padre, poi si alleò con il re di Francia e con l'imperatore di Germania e dichiarò guerra ai Veneziani, conquistando Faenza e Rimini. In seguito, con il mutare degli equilibri politici, dichiarò guerra allo stesso re di Francia, anche grazie all'appoggio di truppe inglesi, spagnole, tedesche e svizzere.
Era uomo da prima linea, e guidò personalmente l'assedio della Mirandola.
Oltre al ruolo politico, fu grande protettore delle arti: affidò la progettazione e l'esecuzione della Basilica Vaticana al Bramante, fece affrescare la Cappella Sistina da Michelangelo e da Raffaello le stanze della Segnatura. Commissionò anche a Michelangelo un grande mausoleo come tomba personale da realizzarsi nella nuova basilica di San Pietro, centro ideale della cristianità.
Il mausoleo non vide mai la fine, almeno nella concezione ideale progettata da Michelangelo, un opera monumentale su cui lavorò per cinquant'anni realizzando un numero infinito di statue, dovevano essere una quarantina di prigionieri, oltre ai personaggi importanti ( il Mosè , San Paolo, David e San Giovanni) che ne invocavano la liberazione. Il tutto inserito in un contesto archittettonico che avrebbe contenuto, al centro, il sarcofago papale.
L'architetto Giuliano Sangallo, consulente di Papa Giulio II della Rovere, lo richiamò a Roma per la realizzazione del mausoleo , di cui ho accennato sopra, e dunque partì alla volta di Carrara per approvvigionarsi della materia prima, il marmo delle Alpi Apuane. Per alcune settimane girovagò solitario tra le cave, trattando con i tagliapietra e i trasportatori specializzati nella "lizza", il sistema ancora utilizzato per estrarre i macigni dai canaloni.
Una notte, dopo la solita cena solitaria e frugale, osservando il cielo, ebbe una strana visione: vide una stella di grandi dimensioni, con tre raggi: uno argentato e ricurvo, come ad uncino, uno sanguigno e uno colore fuoco vivo. Prese velocemente carta e matita e iniziò a immortalare quella stella particolare, e com'ebbe finito il disegno, la stella svanì. Conservò sempre con se questo disegno, e pare ne traesse una forza contemplativa, come se ne leggesse un messaggio divino.
Michelangelo, tornato a Roma, si sistemò presso la Chiesa di Santa Caterina, non lontano da San Pietro, per portare avanti il suo progetto, di cui il papa fu talmente entusiasta e affascinato da fare costruire un corridoio tra il Palazzo Apostolico e lo studio dell'artista, e vi si recava spesso, per osservare i progressi del lavoro, e per incontrarsi o scontrarsi con l'amico con cui il comune progetto aveva stabilito un legame indissolubile e intensissimo.
Il progetto era talmente grandioso, e le somme di denaro necessarie per realizzarlo talmente ingenti che probabilmente quella tomba fu la causa della vendita di indulgenze, e quindi accelerò le correnti Luterane che poi si staccheranno dalla Chiesa e dal Papa.
Ora Michelangelo lavorava fianco a fianco con il Bramante, l'architetto incaricato della realizzazione della nuova Basilica di San Pietro e naturalmente fu con lui che si scatenò una rivalità pungente, anche dettata dal fatto che dovessero dividersi i fondi, ed essendo i due progetti gravemente esosi, si scatenò una sorta di battaglia sostenuta a colpi di intrighi e macchinazioni per riuscire a recuperare più denaro e sostenere il proprio progetto. Il Bramante, anagraficamente Donato Lazzari proveniente da Pesaro, aveva lunga esperienza della vita della corte pontificia, ed era in vantaggio rispetto a Michelangelo, che iniziò a vedere meno liquidità, e arrivò addirittura a temporeggiare firmando qualche cambiale, appoggiato dall'amico banchiere Galli. Terminata ogni risorsa, Michelangelo chiese udienza presso il Papa, che però, momentaneamente influenzato dalle lusinghe dell'intrigante Bramante non volle ascoltarlo e anzi lo fece allontanare bruscamente dall'anticamera papale, in cui sostavano alti prelati e personaggi importanti, facendolo scortare da un grosso energumeno. Michelangelo, furibondo per il trattamento ricevuto, vendette a un ricettatore tutti i suoi averi, scrisse un biglietto al Papa dicendo: "sono stato cacciato da Palazzo, onde Le fo intendere che se mi vorrà mi cercherà altrove che a Roma" , montò a cavallo e se ne andò verso Firenze, senza fermarsi prima di essere uscito dal confine. Pare che, oltre all'affronto subito e all'umiliazione ingiustamente sofferta, ci fosse una sorta di gang di capomastri che lo minacciava di vita (Michelangelo, così come i suoi colleghi, erano allora considerati appaltatori, e in questo caso, insolventi). Trascorse la notte in una locanda a Poggibonsi, dove fu svegliato da cinque cavalleggeri che recavano una missiva Papale che lo richiamava indietro, "sotto pena della Nostra disgrazia". Michelangelo era troppo arrabbiato, e non ne voleva saperne di tornare, e dovette intervenire la forza pubblica locale, e poiché gli sconfinamenti di pattuglie straniere terminavano generalmente con le armi, i soldati tornarono indietro a mani vuote.
Michelangelo, giunto a Firenze, cercò di non dare troppo nell'occhio e prese addirittura contatto con i sultani turchi, che spesso concedevano asilo a frati francescani per mantenere un dialogo tra Occidente e Oriente. Gli fecero dunque la proposta di progettare e costruire un ponte monumentale sul Bosforo, ma alla fine non se ne fece più nulla....
Il Papa continuava a fare pressioni per averlo al suo cospetto, e lui continuava a defilarsi, ma nel frattempo riuscì a farsi querelare dal Perugino per averlo pubblicamente definito un pittore mancato. I magistrati lo assolsero perché il fatto non costituiva reato.
Intanto Giulio II, che era impegnato nelle sue conquiste, era arrivato a Bologna, scacciandone il Duca Bentivoglio e poiché il governo fiorentino iniziava a temere un attacco, decise di sistemare la questione Buonarroti. Così Michelangelo si recò a Bologna per porgere le sue scuse, prima assistette alla solenne messa papale, poi fu introdotto al suo cospetto, mentre era impegnato in una cena con alti prelati. Michelangelo si scusò, e sperando di smorzare i toni molto duri, un cardinale volle cercare di dire una parolina, scusando l'artista per la sua "ignoranza", affermazione che dette modo al Papa di spostare le sue ire sull'ingenuo Cardinale, che dopo essere stato etichettato lui, l' ignorante, fu cacciato dalla tavolata. A Michelangelo fu intimato di restare a disposizione a Bologna. Prima il Papa volle una statua di bronzo alta quattro metri per il sagrato di S. Petronio, raffigurante egli stesso con la spada in pugno. L'artista volle invece sostituire la spada con le Sacre Chiavi, e l'opera piacque molto tanto al Papa quanto alla popolazione, che pure alla prima occasione la distrusse in quanto "simbolo" dell'occupazione straniera, questo non appena il Bentivoglio si riprese Bologna, e il bronzo fu riutilizzato per farne un cannone a cui venne dato il nome di Giulio. Michelangelo, di nuovo, tornò a Firenze.

Sugli amori di Michelangelo, la cronaca ci porta poche testimonianze, anche perché era uomo di delicata cultura, e per lui l'amore era sempre considerato purezza contemplativa, lui amava come Dante amava Beatrice, come il Petrarca Laura. Smentite comunque le voci romantiche che ne reclamavano una relazione con Luisa De Medici (la ragazzina che sedeva con lui alla tavolata dei Medici in cui fu accolto giovinetto come un figlio) in quanto la giovane si sposò a sedici anni, ebbe quattro figli e morì giovanissima, poco credibile riuscire a pensare ad una tresca tra i due. Si narra poi di una relazione con un avvenente e procace popolana bolognese. L'unica donna di cui le cronache ci parlano che fu legata a lui da una vera e profonda amicizia, un'autentica affinità elettiva rigorosamente platonica , fu la poetessa Vittoria Colonna, moglie del generale Francesco d'Avalos, donna che conobbe intorno al 1538 quando lei aveva 46 anni e Michelangelo 63.
Per quanto riguarda amicizie e inamicizie, le cronache sono invece decisamente più dettagliate. Michelangelo provocava forti reazioni nelle persone che avevano a che fare con lui, quindi, o lo si amava o lo si odiava. Tra gli amici, ad iniziare dal Granacci di cui ho già accennato, il poeta Angelo Poliziano che lo inizò alle letture classiche, il Rosso, pittore fiorentino, Piero Urbano, Metello Vari, Federico Frizzi, scultori. Michelangelo fu poi sempre disponibile all'insegnamento, e fece scuola ad una serie di artisti più o meno famosi, tra cui ricordiamo il Giambologna. Grande stima ebbe di lui Ludovico Ariosto, che lo elogiò nell'Orlando Furioso (non chiedetemi dove, per favore), e fu suo amico anche il Conte Baldassarre di Castiglione, l'autore del "Cortigiano" che insegnò il bon ton ai gentiluomini di molti secoli a venire. E poi la sua amica Vittoria, e non dimentichiamo lo strano legame di intense condivisioni artistiche che ebbe con il Papa Giulio II. Complessi ma onesti i rapporti con Niccolò Macchiavelli, forse più che di amicizia istintiva si può parlare di alleanze politiche e di stima reciproca di due uomini illuminati. Infine un grande amico di Michelangelo fu Benvenuto Cellini, orafo, scultore e scrittore, e fu lui a definirlo "il Divino", appellativo che si ritrova anche in Michele Cervantes, l'autore del Don Chisciotte.
Molti di più i nemici e i delatori, a cominciare da Jacopo Sansovino, figlio di Andrea, Baccio Bandinelli, scultore che riuscì ad ottenere un grosso masso di marmo che entrambi si contendavano, e ne scolpì quell'Ercole in lotta con Caco che ancora oggi è affiancata al David, evidente testimonianza di inferiorità artistica, e lo stesso Benvenuto Cellini, scrivendo ad un amico, disse che "se si tosassero i capelli di Ercole non vi resterebbe zucca sufficiente a riporsi il cervello. Le spallacce, poi, somigliano agli arcioni di un basto d'asino". Il Baccio fece addirittura prendere a sassate il David, e probabilmente fu lui a distruggere i cartoni della Battaglia di Cascina. Poi ci fu un tale, Nanni di Baccio Bigio, architetto mediocre a mala pena ricordato per Palazzo Salviati alla Lungara in Roma, anche lui mandatario di critiche velenose e di diffamazioni infami. I rapporti con Leonardo furono avversi (in questo caso, probabilmente, grande influenza fu dettata dal fatto di essere spesso in lizza per gli stessi lavori o contratti che dir si voglia, quindi non colleghi ma avversari), e anche con Raffaello Sanzio non furono idilliaci, anche perché Raffaello era molto legato al Perugino e al Bramante, suoi acerrimi nemici.

La Cappella Sistina la dobbiamo all'intercessione, se pur per altri intenti, del Bramante, che propose a Papa Giulio II di mettere alla prova il "grande" Michelangelo con la pittura, assegnandogli il compito di affrescare circa 300 metri di superficie. Michelangelo non rifiutò la sfida, e iniziò a studiare un popolo di figure raffiguranti profeti, sibille, santi, angeli, tutti testimoni al più grande evento: la creazione dell'uomo, la sua caduta, la sua rinascita in Cristo.
Naturalmente il Bramante cercava di metterlo in cattiva luce davanti al Papa, spingendolo a notare la lunghezza dei tempi, e augurandosi che lo stesso gli revocasse infine il lavoro per affidarlo a Raffaello, che stava invece dipingendo Le stanze Vaticane.
Il lavoro fu un'impresa assolutamente titanica, per quattro anni Michelangelo se ne stette sdraiato su pericolanti impalcature, dipingendo colori che poi gli colavano sugli occhi compromettendone la vista. Un giorno, sfinito dal lavoro, decise di chiedere al Papa un breve permesso per recuperare le forze e la salute(….) e quindi si recò in udienza, ma di nuovo lo trovò di pessimo umore, e probabilmente talmente istigato dalle tenaci affabulazioni del Bramante che non si limitò a negarglielo, ma lo colpì violentemente con un bastone. Naturalmente il Papa si pentì repentinamente di quel gesto, e gli concesse il permesso e i denari richiesti. Tornò presto al lavoro, ed infine, nel novembre del 1512, le impalcature furono tolte, e la Cappella Sistina mostrò le sue stupende fattezze a tutto il mondo, e l'ammirò estasiato anche quel Papa che così intensamente l'aveva desiderata e bramata, ma che se la godette per poco tempo, morendo nel febbraio del 1513. Le scene rappresentate nella Cappella Sistina ci ripropongono le storie della Genesi, con Dio che divide la luce dalle tenebre, la creazione degli astri, la separazione delle acque, la creazione di Adamo ed Eva. Poi il peccato originale, la cacciata dal Paradiso, il sacrificio di Noè, il diluvio universale. Le sibille ammonitrice dei grandi eventi futuri, i profeti che già sanno, e "gli Ignudi", pur vigorosi e muscolosi, ma non altro che uomini, solo uomini in balia del destino.
A Giulio II successe Giovanni De Medici, figlio di Lorenzo che crebbe a fianco di Michelangelo. Prese il nome di Leone X legando questo nome all'epoca d'oro delle arti, affidò immediatamente dei lavori a Michelangelo, ma che per vari motivi non si realizzarono che marginalmente.
C'era poi ancora da terminare il contratto, ormai in mano agli eredi di Giulio II, per il mausoleo, che ormai era diventato meno monumentale, seppur degno delle opere del pontefice: e così Michelangelo tornò a scolpire, il Mosè, che già abbozzato, lo attendeva da anni per terminare il lavoro, oltre ad altre statue del numeroso gruppo originario. I Papi, allora, non vivevano a lungo come i nostri, tant'è che nella sua vita Michelangelo ne vide molti. A Leone X successe il breve papato di Adriano VI, un teologo rettore di università, uomo molto istruito e supremo Inquisitore, troppo puritano per apprezzare le arti e anzi riuscì a danneggiarle, durante il suo breve pontificato ( fu l'ultimo papa non italiano, fino ai nostri giorni) coprendo le "impudiche" nudità della cappella Sistina , e poi di nuovo un papa de' Medici, Clemente VII, decisamente più significativo degli ultimi due.
Sotto il papato di Clemente VII gli furono affidati i lavori di rifacimento della sacrestia di San Lorenzo, che voleva utilizzare come grandiosa tomba di famiglia, ponendovi i sepolcri di Giuliano, di Lorenzo il Magnifico, di Lorenzo duca d'Urbino, di Giuliano duca dei Nemours nonché la propira.
Michelangelo sistemò due tombe nelle pareti laterali, quella di Lorenzo Duca d'Urbino e quella di Giuliano di Nemours. Sui coperchi dei sarcofaghi, quattro statue: la Notte, il Giorno, l'Aurora, il Vespro, per simboleggiare il tempo che tutto consuma. E poi, le due statue raffiguranti i personaggi defunti, Giuliano pronto allo slancio, Lorenzo intento a meditare.
Papa Clemente non fu tra i più fortunati della storia, con il negato scioglimento del matrimonio tra Re Enrico VIII con Caterina D'Aragona dette inizio alla separazione dalla Chiesa Cattolica da parte degli anglicani, e nel1527 ci fu il sacco di Roma, che vide il Papa rinchiudersi con la sua corte nell'inespugnabile, Castel Sant'Angelo, mentre Michelangelo …. partì alla volta di Firenze, dove servì la Repubblica illuminato dall'esempio del Savonarola, grande messaggero di ideali di libertà; nominato colonnello (o generale) del genio militare, lavorò alle fortificazioni della città. Fu grande anche come ingegnere militare: modificando e adeguando i calcoli per attutire l'effetto dei colpi, ottenendo la quasi totale eliminazione dei rimbalzi e alzando i terrapieni sino al parapetto contribuì in maniera "moderna" all'allora conosciuta tecnica di fortificazioni. Preso dagli studi militari, volle anche provare a fare l'artigliere, fece fissare una grossa colubrina, fece dosare secondo le sue prescrizioni le cariche e calcolò anche le dimensioni dei proiettili. Dette fuoco alle polveri, e il colpo partì, ma dalla culatta, uccidendo un paio di artiglieri dietro di lui e ferendone altri. Immaginate la scena, nello sbigottimento generale Michelangelo disse "se questo cannone ha fatto vittime sparando all'incontrario, figuratevi quante ne farà sparando dal verso giusto".
Compreso che era meglio tornare all'arte, realizzò su tavola una Leda particolarmente sensuale in procinto di concedersi ad un Giove trasformato in cigno. Il quadro è scomparso (chissà quale mega miliardario lo può ammirare in solitaria contemplazione, sempre se non ci hanno dipinto sopra qualche crosta di poco conto), ma si narra che fosse di una bellezza e di una sensualità veramente inimmaginabili.
I complotti ad alti vertici erano sempre in atto, Michelangelo si accorse che per ordine di Malatesta Baglioni si stavano disponendo gli artiglieri fuori dalle fortificazioni, e capita la fine della Firenze repubblicana sotto il doppio gioco del potere, partì da Firenze per Venezia. Una cavalcata non proprio piacevole, dati i suoi 56 anni, dove gli proposero la progettazione dell'attuale Ponte di Rialto, che però rifiutò. Intanto era stato emesso un avviso per cui Michelangelo, se non si fosse ripresentato a Firenze (ricordiamo che era allora un militare) ne sarebbe stato bandito, e questo lo invogliò a fuggire ancor più lontano, a Parigi, ma le cose non andarono come aveva previsto, non vi furono onori ne calorosa accoglienza, e cercò allora intermediari pronti a perorare il suo ritorno, e tornò alla sua Firenze, riassumendo le funzioni tecniche, con l'Orange che già aveva disteso le sue truppe da un lato della città. L'assedio durò parecchi mesi, e finì con la resa a discrezione, ossia persecuzioni, spostamenti di ricchezze, caccia ai libertari (ossia tutto tornò come prima) ed infine tornò la tranquillità. Con il repentino cambio di governo, Michelangelo ci perse i denari investiti e la sua casa fu pure saccheggiata, anche nelle scorte alimentari. E pure il David, spettatore innocente, ci rimise un braccio, mutilazione causata da un tavolo, appartenente a qualche odiato funzionario della repubblica, scaraventato giù dalle finestre della Repubblica.
Dopo la parentesi repubblicana, Firenze divenne un ducato, retto da Alessando De Medici, figlio di Lorenzo de Piero e di una schiava di colore. Era dunque un meticcio, ed è noto alla storia per le sue conquiste femminili. Finì ucciso per mano del cugino, morto poi anch'esso assassinato. All'epoca del rude Alessandro, era amico di Michelangelo Lorenzo de Pierfrancesco, anche lui un De' Medici, ma che amava definirsi Dei popolani, un vero anticonformista trasgressivo. A Michelangelo un giorno scappò una battutaccia sulle origini poco nobili di Alessandro, qualcosa del genere "doveva chiamarla piazza dei muli" e subito intuendo che costituisse una ghiottoneria irresistibile per l'amico chiacchierone, comprese che era nuovamente tempo di mettersi in viaggio e lasciare Firenze. Partì il 20 settembre del 1534, aveva 60 anni, e non avrebbe mai più rivisto Firenze. Raggiunse Roma e si stabilì nell'umile alloggio presso il rione di Macel De Corvi che aveva acquistato anni prima, e per farlo dovette dare lo sfratto alla famiglia che l'occupava in affitto, sbirro lui e pettegola infame lei, si fece subito dei nemici tra gli abitanti del quartiere, scandalizzati dal fatto che un ricco amico del papa vivesse in mezzo a loro e mettesse per la strada una famiglia di umili origini. Ma questo non cambiò nulla, lui si stabilì nelle cinque camere modestamente arredate del primo piano, dove non c'era neanche un quadro o un oggetto di lusso, e lavorando nella bottega al piano sottostante per proseguire le sue opere.
Clemente VII intanto morì, e gli succedette Paolo III Farnese, il fratello di quella Giulia Farnese famosa per la sua straordinaria bellezza e per aver agevolato, con i suoi favori, l'ascesa del fratello. Nonostante queste premesse, Paolo III fu un Papa importante, che dette grandi contributi all'arte e che seppe impostare una seria reazione al luteranesimo, in un certo senso, un papa simile al combattente Giulio II. Michelangelo si sentiva oppresso dal contratto che lo legava con gli eredi di Giulio II per la questione del Mausoleo troppo colossale, e Paolo III voleva affidargli nuovi lavori, ma lui tergiversava, temendo una ritorsione personale. Pensate, il Papa si recò personalmente, accompagnato dal suo colorito corteo di prelati, di intellettuali e di mosconi, nell'abitazione di Michelangelo per commissionargli dei lavori, e compreso il cruccio che gli impediva di assumere nuovi impegni, trovò un modo diplomatico per liberarlo dagli obblighi assunti.
Michelangelo fu anche poeta, spaziando tra generi vari quale l'amoroso, il burlesco, il misticismo e la lirica pura, e le sue rime sono apertamente biografiche, per cui strumenti che ci permettono ancora oggi di scoprirlo e conoscerlo meglio. Ma fu anche paroliere, e amante della musica in generale; di lui sono rimaste parecchie composizioni musicali, tra cui un "madrigale" la cui musica fu scritta dall'amico Tromboncino, musicista sensibile e freddo assassino (avete presente la classica scena: cara, oggi sono tornato prima, e la becca a letto con l'amante? Fatti fuori tutti e due….). Curiosità storica è data dal fatto che, all'epoca, erano i parolieri a pagare i compositori per i loro servigi di collaborazione, e così fece anche Michelangelo.
Abbiamo parlato dei suoi amici, dei suoi nemici, delle sue donne, resta ancora un capitolo da affrontare, quello del "compagno" che ebbe in Tommaso del Cavaliere, a cui fu legato da un rapporto intenso che durò per decenni. I costumi dei tempi erano forse più elastici dei nostri (basta vedere la vita dei papi per averne un chiaro esempio) e non solo nessuno si scandalizzava o si formalizzava per queste amicizie omosessuali, ma era considerata una cosa piuttosto normale e diffusa. Il Tommaso, poi, era un uomo assolutamente moderno, quello che oggi potremmo definire un metrosessuale, o quantomeno un bisessuale. Quando conobbe Michelangelo aveva vent'anni, ed era un giovane molto bello, suo allievo, e divenne presto un sostenitore, un confidente, un collaboratore di fiducia. Tommaso si sposò anche, nel corso della sua vita, ed ebbe due figli.
Altro amico dell'ambiente romano di Michelangelo fu Ottaviano, della famiglia Medicea, uomo reazionario politicamente ma cordiale e dotato di intelligenza spiccata. Michelangelo fu padrino di uno dei suoi figli, le cronache non specificano quale, ma uno fu il fondatore del ramo napoletano dei Medici, l'altro Papa, e io propenderei per il secondo, visto il gran numero di papi che ha conosciuto. Ottaviano riuscì ad ottenere da Michelangelo quello che nessuno ancora aveva avuto: farlo posare per un ritratto, realizzato da Giuliano Bugiardini, che purtroppo è andato perduto ma di cui restano molteplici copie.
I biografi più accreditati di Michelangelo furono Giorgio Vasari e Ascanio Condivi, un suo allievo, a cui possiamo aggiungere Francisco de Hollanda, portoghese a Roma con una borsa di studio (l'antico erasmus), oltre ad una serie di testimonianze indirette (corrispondenza, atti, documenti…) .
Nel 1535 Michelangelo iniziò a lavorare al Giudizio Universale, un grandioso progetto che rivelò la presenza di oltre 300 figure, tra cui sono rappresentati personaggi illustri quale Dante, Vittoria Colonna, il Savolarona, Giulio II, Clemente VII, Paolo III e anche un Martin Lutero incappucciato che, nonostante le simpatie personali, collocò tra i dannati. Fece anche se stesso, e scelse di rappresentarsi in San Bartolomeo, il Santo conosciuto per essere stato scorticato vivo.
Nei panni di Minosse, il severo giudice infernale, volle raffigurare Biagio da Cesena, un cerimoniere del pontefice che fingeva di scandalizzarsi per la nudità delle figure rappresentate. Quando si riconobbe nel volto di Minosse, corse a lamentarsi dal Papa, Paolo III, che da mente fina qual'era, gli disse che purtroppo contro l'inferno non poteva fare nulla, fosse stato collocato al purgatorio magari sarebbe stato diverso…
Incredibile come il più accanito tra gli oppositori dei "nudi" fu proprio Piero Aretino, il poeta più licenzioso e pornografico del suo tempo.
Un giorno Michelangelo, più vicino ai 70 che ai 60, cadde dai ponteggi, e perse i sensi. Lo soccorsero e lo portarono nella sua casa di Macel de' Corvi, e fu subito chiaro che si fosse rovinato una gamba. Michelangelo, sofferente per il dolore e probabilmente vittima di una sindrome depressiva, cacciò via tutti e si chiuse in casa, per rimettersi ad agonizzare in solitudine nel suo letto, forse in attesa della morte. Ma tra i veri amici di Michelangelo c'era pure un medico, il Dottor Baccio Rontini, che dovette salire su una scala e forzare una finestra, nonostante la sua non esile stazza, per poter entrare in casa a curare l'amico. Per settimane lo accudì continuamente, e gli salvò la vita.
Nel 1541 tutto il mondo poté ammirare la magnifica rappresentazione del Giudizio Universale, che piacque fortemente e che mosse vere e proprie masse di artisti e di curiosi verso Roma, continuando però l'enfatica discussione sulla sconvenienza dell'esposizione dei nudi in una chiesa. Finché visse Paolo III il quadro restò quale Michelangelo l'aveva creato, ma con l'insediamento di Sisto IV fu deciso di prendere gli opportuni provvedimenti per occultare le nudità. Questo avvenne nel 1564, anno in cui Michelangelo morì.
Michelangelo fu in vita estremamente parsimonioso e risparmiatore, abitava nella casa acquistata a Roma, in un quartiere si centrale ma di gente povera, popolato da donne di malaffare e di mendicanti. Non era certo povero, soprattutto dopo tutti gli anni di servizio alle corte papali, che oltre a quanto economicamente pattuito erano soliti concedere benefici e vitalizi, per cui ogni persona che traghettava il Po a Piacenza, pagando il pedaggio, contribuiva anche a finanziare Michelangelo. Con i parenti fu generoso, e distribuì elemosine e aiuti in modo mirato e scelto, preferendo i poveri dignitosi, quelli che facevano il possibile per mascherare il proprio disagio economico e le giovani ragazze povere, a cui dava le doti di matrimonio per iniziare una nuova vita, seria e serena.
Per quanto frugale e tirchio, non era comunque umile nella propria concezione, anzi, il Conte Alessandro di Canossa gli scrisse una lettera per comunicargli alcuni suoi studi effettuati sul proprio albero genealogico, che avrebbero reso i due parenti: Michelangelo credette sinceramente per il resto della sua vita di avere sangue nobile e di essere avo di Matilde De Canossa, l'amica di Papa Gregorio VII che passò alla storia per avere fatto attendere scalzo e a capo scoperto, per tre giorni e per tre notti, l'imperatore Enrico III.
Successivi studi sui rispettivi rami, hanno dimostrato che questa teoria non aveva alcun fondamento.
Dopo la sua morte, oltre ai vari denari che custodiva, furono contati una dozzina di poderi ed alcune case (l'andamento altalenante della moneta rendeva più sicuro l'investimento in mattoni e in terreni).
Le sue abitudini alimentari erano molto frugali, si cibava prevalentemente di verdure, cotte o crude, e di frutta. Beveva pochissimo vino, e per lo più annacquato, e provava ribrezzo nello spettacolo dell'altrui ubriachezza. Spesso doveva partecipare ai solenni banchetti organizzati dai signori del tempo, occasioni da cui fuggiva non appena possibile per non dover assistere alle scene orgiastiche che sempre ne seguivano.
Vestiva anche dimessamente, quasi sempre di nero, non portava gioielli, ne armi, anche se solitamente era accompagnato da qualche suo studente, perché le strade di Roma non erano molto tranquille, soprattutto dopo il tramonto.
Non amava particolarmente gli animali, solo per i cavalli faceva un'eccezione, e si assicurava che fossero ben trattati, nutriti e curati. E' anche vero che i cavalli erano allora il mezzo di trasporto ordinario, per cui oltre all'interesse umano, ne subentrava uno più utilitaristico.
Michelangelo s'interessò anche di astronomia, e il suo maestro fu niente meno che Nicolò Copernico, conosciuto in occasione del Giubileo del 1500 indetto da Alessandro VI Borgia. Allora era docente universitario in Polonia, e con il viaggio in Italia tenne lezioni e conferenze universitarie, a cui Michelangelo assistette con vivo interesse, molto felice di veder offuscare le teorie Copernicane che pretendevano che la terra s'illuminasse con la luce delle stelle. Nonostante fosse già ben avanti con gli anni, il suo interesse per le nuove conoscenze era sempre vivo e rinnovato, e lamentando ora le sue lacune di quel latino che da ragazzo non aveva voluto studiare, prese anche lezioni dal Donati a settant'anni.
Un giorno, un prete suo amico gli chiese perché non si fosse mai sposato, e lui rispose che l'arte era già come una moglie, lo faceva tribolare e ne riempiva la giornata. Prese poi ad esempio il Ghiberti, conosciuto per aver fatto le porte del Battistero di Firenze, dette le Porte del Paradiso: i suoi figlioli e nipoti gli hanno venduto e mandato in malora tutto, ma le sue porte sono ancora là in piedi. E così sarà per me, le mie creature saranno le mie opere.
Michelangelo si ammalò improvvisamente, i sintomi erano febbre alta, vomito, atroci emicranie e dolori al petto, comunque la sua situazione parve veramente critica, e molti amici si offrirono di ospitarlo per poterlo accudire comodamente, e anche su consiglio dell'amico Baccio Rondini, scelse la residenza degli Strozzi. Una notte fu in preda ad un delirio profondo, accompagnato da sudori freddi e febbre altissima, a cui seguì la perdita di coscienza. La mattina dopo, non aveva più febbre e stava nuovamente bene. Pare probabile che ebbe un forte attacco di calcolosi renale.
Si sdebitò con gli Strozzi per la loro accoglienza regalando loro i due prigioni che avrebbero dovuto, originariamente, fare parte del mausoleo di Giulio II, questi successivamente le donarono a Francesco I, re di Francia.
Volete sapere se Michelangelo fosse superstizioso? Si, lo era, esattamente come la maggior parte dei suoi contemporanei. Per esempio, non volle occuparsi della sistemazione dell'obelisco in Piazza San Pietro perché nelle "storie" del Plinio si narrava che quell'obelisco fu il solo, tra tutti quelli trasportati dall'Egitto a Roma, che all'atto di essere tirato su si ruppe, e questo non era un buon segno. Poi raccontava spesso di essere caduto dai ponteggi dopo la visita di quel "corvaccio" di Biagio da Cesena, e in una particolare occasione, quando incontrando un gruppo di circensi che si esibivano in una piazza romana, fu preso di mira da una nana deforme che lo rincorse cercando di baciarlo, lui scappò, perseguitato dai personaggi e dalle vicende del Giudizio Universale, e per quel giorno non volle più uscire.
Chissà cosa pensasse lui del diciassette…
Comunque, anche se vecchio, il lavoro non gli mancava, ed aveva tanti cantieri da controllare, il cornicione di Palazzo Farnese, lasciato incompiuto dalla morte del Sangallo, le fortificazioni di Borgo Pio e la sistemazione del Campidoglio.
Paolo III morì e venne eletto Papa il Cardinale Gian Maria del Monte, con il nome di Giulio III, uomo di modi semplici e cordiali, amante della vita di corte, che non tenne inizialmente Michelangelo nella considerazione dovuta e gli lesinò anche i soldi per i lavori inerenti San Pietro, ma che poi imparò a stimare e a rispettare.
Cosimo I de Medici invitò spesso l'artista a fare ritorno a Firenze, arrivando anche ad offrirgli un posto in senato, ma questi rifiutò sempre, i lavori a San Pietro dovevano proseguire, e senza di lui si sarebbero fermati definitivamente, e già stentava a lavorare serenamente per le insidie di corte, istigate dall'acerrimo nemico Nanni di Baccio Bigio, che infine il Papa volle tacitare cacciandolo dalla corte. Questo papa imparò a stimare Michelangelo talmente nel profondo che avrebbe dato del suo sangue per farlo vivere più a lungo, e comprendendone la grandezza della persona, aveva già preso accordi perché, nel momento della morte, il corpo dell'artista venisse imbalsamato e custodito onorevolmente. Ma morì prima il papa…
Fu un grande dolore la morte del fratello Buonarroto , per causa di un'epidemia di peste (scusatemi, non so collocarla cronologicamente) ma Michelangelo lo assistette amorevolmente, negli ultimi giorni, e prese con sé il nipote Leonardo, suo erede. Si preoccupò anche di cercargli moglie, affidandosi ad una famosa sensale dell'ambiente fiorentino, e gli procurò un elenco di donzelle a modo, sane, di onesti costumi e ben dotate anche economicamente. Confidenzialmente, gli disse poi "tu hai bisogno di una che ti stia vicino, e che tu possa comandare, una che non voglia andarsene ai convitti nei palazzi. Perché dove c'è corte, è molto facile diventare meretrice… ( veramente lui disse puttana, me lo concedete?)
Leonardo sposò poi Cassandra Ridolfi, che gli fu presentata da Michele Guicciardini, parente dello storico. A Michelangelo la fanciulla dovette piacere parecchio perché fu generoso con i regali di nozze, donandole una collana di perle, un anello con un diamante ed uno con un rubino. E la Cassandra ricambiò il dono inviandogli otto camicie di tela da lei stessa confezionate.
Michelangelo giovane andava nei sotterranei a sezionare cadaveri, Michelangelo vecchio venne convocato presso un illustrissimo professore universitario che ne richiedeva la collaborazione per la stesura di un trattato d'anatomia, ma Michelangelo che nel corpo cercava l'affermazione della verità e della bellezza, e non più l'analisi scientifica, rifiutò. Pensate che l'anatomista, per invogliarlo a riprendere in mano il bisturi, lo volle "omaggiare" facendogli portare presso la sua abitazione il corpo di un giovane ragazzo morto, che naturalmente fu rispedito al mittente…
Michelangelo, alle soglie degli ottant'anni, s'innamorò follemente di una bella donna, Sofonisba Anguissola, cremonese a Roma per perfezionarsi nell'arte. Aveva ventidue anni, era alta, formosa, solare, bellissima. Lui probabilmente si fece anche avanti, e lei rispose alle lusinghe con un certo inganno, per cui forse lo illuse, e lui si occupò d'introdurla nel mondo dell'arte come mai aveva fatto con i suoi discepoli, e la fama della pittrice divenne improvvisamente altissima. Divenne pittrice ufficiale della Corte Reale di Spagna, diventò molto ricca, fu nominata dama di corte, si sposò ed ebbe dei figli. Secondo me, non fu un gran peccato l'aver regalato qualche innocente pensiero ispiratore a quell'ottantenne dalla mente e dal cuore sempre pronti a vivere, a rimettersi in gioco.
Intanto anche i Papi continuavano a succedere uno all'altro, a Giulio III successe Marcello II, che regnò appena 20 giorni, poi il Cardinale Giampietro Carafa, che assunse il nome di Paolo IV e che aveva anch'esso ottant'anni, se pur con spirito battagliero e s'invischiò pure in una guerra, che costrinse Michelangelo alla sua ennesima fuga da Roma, con un soggiorno di un mese presso Spoleto.
Paolo IV confermò Michelangelo quale sovrintendente, e per quel poco di tempo che gli restava, Michelangelo cercava di terminare le sue due sculture sul tema a lui più caro, le due pietà ancora in cantiere, la prima detta di Palestrina, la seconda detta Rondanini, questa sarà la sua ultima creazione, a cui dedicò veramente gli ultimi giorni della sua vita, rendendola struggente, sublime e disperata.
Anche Paolo Vi morì e gli successe Pio IV
Verso i 90 ebbe un altro malore, preso da un impeto di creazione artistica, scese dal letto e si mise a disegnare, scalzo, svestito, per tre ore buone. Dopodiché, svenne, probabilmente per una congestione. Ma dopo qualche giorno, era di nuovo al lavoro, tra disegni, progetti e cantieri.
Michelangelo continuava a rifiutare molti lavori che gli venivano proposti da ogni parte del mondo, da re e regine, era vecchio, e faticava a portare avanti il suo ruolo di sovraintendente per la fabbrica di San Pietro, e quando fu dato a Daniele da Volterra l'incarico di "coprire" i nudi del giudizio universale, questi, che era un suo amico, si trovò in una situazione critica. Inizialmente pensò di rifiutare, ma poi si convinse che avrebbe potuto limitare il danno con un intervento discreto, mentre altri pittori avrebbero probabilmente calcato la mano. Si recò allora da Michelangelo per chiedergli il permesso, ma lo trovò stanco, malfermo, e non se la sentì di renderlo partecipe di quella dolorosa decisione. Allora gli chiese il permesso di scolpirlo in un busto, e Michelangelo accettò. Quel Michelangelo che è rimasto a noi è il Michelangelo negli ultimi giorni della sua vita. Si narra, comunque, che Michelangelo non seppe mai della decisione di "metter le braghe" ai dannati del Giudizio Universale.
Poi, il lunedì di carnevale, verso le 5 del pomeriggio, dopo aver dato gli ultimi colpi di scalpello alla Pietà Rondanini, Michelangelo fu colto da malore. Ad assisterlo gli amici più cari, Tommaso del Cavaliere e Daniere da Volterra, che contattò subito il medito più bravo di Roma, che però non poté fare nulla. Visse ancora cinque giorni, e si spense silenziosamente al lume di una candela, nella sera del venerdì 18 febbraio 1564. Il nipote Leonardo volle riportarlo a Firenze, e per farlo, dovette contrabbandarne il corpo trasportandolo tra panni, tessuti e mercanzie di poco conto. A Roma, come a Firenze, tutti gli resero solennemente omaggio, e artisti di ogni luogo arrivarono per porgergli l'ultimo saluto in Santa Croce.
Concludo così, con la sua morte, questo mio racconto che ha ripercorso la sua lunga, vasta, preziosissima vita, e magari con la richiesta, se ci fosse qualcuno di Firenze, di portare sulla sua tomba un fiore, anche da parte mia.

Nessun commento:

Posta un commento